Che cos’è la malattia di Parkinson
È una malattia neurodegenerativa (lo specialista di riferimento è il neurologo) causata dalla progressiva morte delle cellule nervose (neuroni) situate nella cosiddetta sostanza nera, una piccola zona del cervello che, attraverso il neurotrasmettitore dopamina, controlla i movimenti di tutto il corpo. Chi ha il Parkinson, proprio per la progressiva morte dei neuroni, produce sempre meno dopamina, perdendo il controllo del suo corpo ed è così che arrivano tremori, rigidità, lentezza nei movimenti. È stato dimostrato che i sintomi iniziano a manifestarsi quando sono andati perduti circa il 50-60% dei neuroni dopaminergici.
Cause e nuove ipotesi
Le cause della malattia sono ancora sconosciute, nonostante sia stata descritta per la prima volta nel 1817 dal dottor James Parkinson. Le ultime ipotesi sulle cause della malattia sono di due tipi: ambientali e genetiche. Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’esposizione a fattori quali pesticidi e metalli pesanti aumenta il rischio di sviluppare la malattia. Ma anche la tesi di un difetto genetico sta ottenendo maggiori evidenze: nel 20% dei pazienti con precedenti di Parkinson in famiglia il gene difettoso è stato, infatti, identificato. Un importante sistema preposto alla detossificazione e alla pulizia dei metaboliti neurotossici è quello della ubiquitina-proteasone che pulisce il cervello dalle proteine e le ricicla in aminoacidi riutilizzabili. Se questo sistema si inceppa o funziona male, come sembra succedere nel Parkinson,le proteine tossiche possono accumularsi bloccando il corretto funzionamento delle cellule dopaminergiche.
Quante persone colpisce?
Oggi la malattia colpisce circa il 3 per mille della popolazione generale, e circa l’1% di quella sopra i 65 anni. In Italia i malati di Parkinson sono circa 300.000, per lo più maschi (1,5 volte in più), con età d’esordio compresa fra i 59 e i 62 anni.
Età d’esordio da riconsiderare L’immagine che la malattia riguardi solo le persone anziane non corrisponde più alla realtà. L’età d’esordio del Parkinson si fa, infatti, sempre più giovane (un paziente su 4 ha meno di 50 anni, il 10% ha meno di 40 anni), per il fatto che la scienza è oggi in grado di porre una diagnosi ai primi sintomi, quando la malattia è ancora in fase precocissima. Inoltre, si ipotizza che mediamente, rispetto al momento della prima diagnosi, l’inizio del danno cerebrale sia da retrodatare di almeno 6 anni. Quindi, l’immagine che la malattia riguardi solo le persone anziane non corrisponde più alla realtà.
Quali sono i sintomi più importanti?
Il Parkinson coincide, nell’immaginario collettivo, con il tremore che colpisce soprattutto una mano del paziente. Il tremore non è invece più il sintomo più significativo per la diagnosi, anche se rimane fra i più appariscenti: il 30% dei pazienti, infatti, non ha questo problema. Più importante è quello che si esprime nella lentezza dei movimenti (bradicinesia). Altri sintomi caratteristici sono la rigidità muscolare (viene vissuto dal paziente come una sorta di rigidità o resistenza di un arto – braccio, gamba – al movimento passivo, quando questo è rilassato) e l’instabilità posturale (più tipica delle fasi avanzate). Soffrire di Parkinson significa, però, avere anche dolore (presente nel46% dei casi), problemi motori generali con perdita della stabilità, fino a subire frequenti cadute. La malattia di solito inizia da un lato solo, con disturbi lievi e limitati agli arti, e progredisce lentamente nella maggior parte dei casi. La demenza compare nella fase avanzata e può riguardare il 20-25% dei parkinsoniani.
Ci sono dei sintomi che non hanno a che fare con il movimento?
Sì: fra i più diffusi la depressione (più frequente nelle donne e in chi sviluppa il Parkinson prima dei 50 anni) e l’insonnia (soprattutto disturbi del sonno in fase REM). Sospetta, per esempio, la depressione resistente al trattamento con antidepressivi, se il paziente ha 60 anni e non ha mai sofferto di tale male in passato.
“Sintomi premonitori” Si è scoperto che sintomi banali quali la stipsi, l’iposmia (ridotta sensibilità olfattiva: i cibi sembrano senza sapore) e l’ipotensione ortostatica (sbalzo pressorio quando da seduti ci si alza in piedi) possono precedere i sintomi motori del Parkinson anche di alcuni anni. In particolare, ben il 70% dei parkinsoniani è affetto da iposmia, sintomo da approfondire soprattutto se colpisce una persona che non soffre di malattie delle vie aeree superiori (se non sporadicamente) e non fuma. O la stipsi, se risulta resistente a qualsiasi trattamento e non si riesce a spiegarne la causa (la dieta non è cambiata, non ci sono problemi al colon). Allora, è importante che il medico curante non sottovaluti questi indizi, per quanto banali possano sembrare, soprattutto se non riesce a spiegarli con diagnosi precise. La visita specialistica neurologica, in tutti questi casi, porterà chiarezza.
Che impatto hanno i sintomi non motori?
La comparsa dei sintomi non motori contribuisce largamente a compromettere la “qualità della vita” (sia fisica sia sociale) dei pazienti, peggiorandola. È stato, anzi, dimostrato che i fattori di maggiore impatto sulla qualità della vita sono costituiti da depressione, disturbi del sonno e sensazione di ridotta indipendenza.
Ci sono dei fattori protettivi?
Il consumo di caffè proteggerebbe dalla malattia di Parkinson. Uno studio “a ritroso” ha analizzato 8004 soggetti per oltre 30 anni e ha scoperto che chi non beveva caffè aveva un rischio 5 volte più elevato rispetto ai soggetti che bevevano una grande quantità di caffè al giorno. Meno chiara la relazione con il fumo: non è infatti ancora certo se sia il fumo a proteggere in quanto tale, o se i soggetti inclini a sviluppare la malattia di Parkinson tendano, per qualche ragione ancora non nota, ad evitare il fumo.
Come si scopre il Parkinson?
La diagnosi si basa essenzialmente sui sintomi. Gli esami strumentali (RMN encefalo, esami ematochimici) possono essere utili per escludere numerose altre patologie che possono avere gli stessi sintomi della malattia, pur avendo cause differenti. Esami particolari come SPECT e PET possono confermare la diagnosi. A tale proposito una nuova metodica di immagine funzionale (DaTSCAN) è in grado di confermare o escludere la compromissione del sistema dopaminergico anche in uno stadio precoce della malattia. Questo esame, che consiste nell’iniezione di un particolare tracciante in vena, e quindi nell’acquisizione di scansioni cerebrali con apparecchi SPECT, mostrerà un’alterazione dei livelli di dopamina nei gangli della base nei casi di Parkinson idiopatico e nei parkinsonismi veri, sarà normale nei casi di tremore essenziale e nelle condizioni cliniche di rallentamento non-parkinsoniano. Gli apparecchi per l’esecuzione delle immagini SPECT sono simili a quelli per la TAC, ma forniscono immagini cerebrali “funzionali” invece che anatomiche. Rispetto alla PET, la SPECT è più diffusa per il minore costo sia dell’apparecchio che dei traccianti utilizzati. L’esame con DaTSCAN non può considerarsi come conclusivo nella diagnosi di Parkinson, ma indubbiamente una buona visita neurologica, con l’ausilio dell’esame SPECT con DaTSCAN può portare a una diagnosi molto accurata. Inoltre l’esame può essere di conforto nel confermare o escludere definitivamente una diagnosi di Parkinson.
tratto da https://www.parkinson-italia.it/la-malattia-di-parkinson/